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Intervista a Paula Baudet Vivanco

ROMA 17/11/2017 Manifestazione dei studenti medi contro il caro libri, contro il lavoro presso strutture private che non li qualifica, contro le scuole fatiscenti. Per una scuola di qualita' aperta a tutti.

I figli dell’immigrazione, cresciuti in Italia, sono una realtà che rappresenta un dato strutturale della società italiana ma che ci si rifiuta di riconoscere. Si tratta di almeno un milione di persone che riconosce l’Italia come casa, sebbene sulla carta non siano cittadini. Un milione di bambini, giovani e adulti che stanno lottando per vedere i loro diritti riconosciuti. Ne abbiamo parlato con Puala Baudet Vivanco, rappresentante del movimento di italiani senza cittadinanza e Segretaria nazionale dell’Associazione Nazionale Stampa Interculturale (ANSI).

 

Il dicembre 2017 si è concluso senza l’approvazione dello ius soli, e il 2018 si è aperto con un panorama politico ostile. In questo contesto, la battaglia per i diritti dei ragazzi senza cittadinanza sembra sempre più complicata. Quali sono le preoccupazioni e le prospettive future?

Quest’anno si è concluso, e aperto, con una grande contrapposizione: da una parte il 2017 si chiude con il mancato esercizio di voto da parte dei senatori per la modifica della legge di cittadinanza e dall’altra il 2018 si è aperto con la grande voglia di tanti italiani senza cittadinanza di votare alle elezioni politiche di marzo nel paese in cui sono cresciuti ma che si sono dovuti astenere perché non riconosciuti come italiani.

Sembra assurdo doversi trovare a parlare di questi temi che dovrebbero ormai essere assodati. Riconoscere il fatto che chi cresce in Italia vada riconosciuto come italiano ci sembra quanto di più normale possa esistere all’interno di questa nostra democrazia dove comunque l’immigrazione è una realtà di tantissimi anni e che riguarda almeno un milione di italiani. È chiaro che l’ultima legislatura si è chiusa malamente perché c’è stato un dato negativo da parte delle istituzioni italiani, i rappresentanti al senato, che hanno preferito evitare a tutti costi che la riforma andasse discussa. È stato un atto di grande vigliaccheria non affrontarlo neanche. Così come è chiaro che il 4 marzo ci sia stato un voto “antisistema”, come detto da molti analisti, e che i primi ad essere colpiti da un sistema che non funziona sono gli italiani senza cittadinanza che non vengono riconosciuti dallo Stato. Dei ragazzi che hanno cercato di far sentire la loro voce con la campagna conosciuta con gli slogan “Italiani senza voto” e “Vorrei ma non voto”.

La società è cambiata ed è opportuno che la fascia politica se ne renda conto.  In questo senso,ci aspettiamo che si arrivi a una comprensione nel senso comune della modifica della legge che non è proprio una rivoluzione, ma il riconoscimento dell’esistenza di fatto di questi italiani. Ci auguriamo che la prossima legislatura faccia un atto di responsabilità e affronti, nella maniera più sensata e intelligente, la questione degli italiani senza cittadinanza.

 

Ci racconti la realtà dei ragazzi italiani senza cittadinanza. Quali sono le maggiori difficoltà che vivono? 

La prima difficoltà è dover vivere con una spada di Damocle sulla testa. Ossia, vivere con il rischio di venire espulsi dal proprio paese, l’Italia, nel momento in cui non si riesce a mantenere un permesso di soggiorno. Una situazione che si soffre da quando si è piccoli, se ai genitori non viene rinnovato il permesso, e da adulti.

C’è poi il grosso ostacolo della mobilità. Gli italiani senza cittadinanza hanno una percezione della propria vita come fossero agli arresti domiciliari, per cui non possono viaggiare con la stessa tranquillità con cui viaggiano i propri coetanei con passaporto italiano: sei cresciuto con loro, hai fatto le prime esperienze con i tuoi compagni di classe e vita, poi però non li puoi accompagnare nella conoscenza del resto del mondo. Sono infatti molti i ragazzi che non hanno potuto accettare esperienze di studio o lavoro all’estero, anche con borse di studio, per paura di perdere la residenza che deve risultare continuativa per ottenere la cittadinanza per naturalizzazione al passare dei 10 anni in Italia. Così come ci si chiede se l’iniziativa ultima dell’interrail gratuito per i neo-diciottenni cittadini dell’Unione Europea comprende anche i ragazzi che vivono ma non hanno cittadinanza in uno dei Paesi membri dell’UE.

Per poter poi fare un percorso professionale fino in fondo, a seconda delle categorie spesso si incontrano difficoltà insormontabili. È il caso dei giornalisti che non hanno passaporto del paese, a cui non è permesso di fare i Responsabili di testate giornalistiche italiane, questo secondo la legge sulla stampa.

Ci sono tanti piccoli elementi che rendono difficile il percorso degli italiani senza cittadinanza. La cosa più utile sarebbe, ovviamente, apportare delle modifiche alla legge di cittadinanza come noi del Movimento degli italiani senza cittadinanza avevamo richiesto e riproporremo alla legislatura che si verrà a creare a seguito delle elezioni.

 

In Italia aumentano gli atti di razzismo e discriminazione. Come vivono i ragazzi di seconda generazione questa realtà, ci può raccontare qualche episodio?

Giornalmente ci vengono segnalati sia episodi di discriminazione per non avere cittadinanza italiana sia discriminazioni sulla base del colore della pelle.

È il caso della quindicenne veronese a cui non è stato permesso di partecipare al concorso canoro “Canta Verona Music Festival” perché il responsabile non accettava che potessero esistere italiani neri. Probabilmente proprio il fatto di essere una cittadina italiana, riconosciuta per legge, le ha permesso di sentirsi meno fragile e più sicura nel denunciare un connazionale razzista.

Sono poi molti i ragazzi che raccontano di datori di lavoro che hanno rifiutato di fare un colloquio conoscitivo per via delle origini, del nome straniero o del colore della pelle. Oltre al mondo del lavoro, il mondo sportivo è un’altra realtà complicata. Molte madri ci segnalano casi di figli esclusi da attività sportive perché impossibilitati a iscriversi, non rientrando nel, cosiddetto, ius soli sportivo. Così come molti sportivi non riconosciuti italiani, anche se qui cresciuti, che non possono gareggiare con la maglia azzurra assieme ai loro compagni, perdendo così le occasioni più importanti delle loro vite, come le gare europee, mondiali e le Olimpiadi

Dal nostro osservatorio sulla realtà italiana ci sembra che gli episodi di razzismo e le discriminazioni siano in aumento e che i giovani siano più inclini a denunciare pubblicamente, ad esempio attraverso i canali Social, ma che più raramente si proceda per vie legali. Pensiamo che sia anche la situazione di incertezza e di non riconoscimento di questi Italiani come cittadini del Paese in cui sono cresciuti a renderli meno inclini a usare i canali più ufficiali di denuncia, a sentirsi meno sicuri e quindi a fidarsi meno dello Stato e della normativa anti discriminazioni. Anche per questo chiediamo che venga riconosciuto per legge che è Italiano chi cresce in Italia, nelle città italiane, nelle scuole italiane. Un dato di senso comune che deve ancora essere compreso pienamente da chi vuole governare l’Italia di oggi.