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Il cibo al centro di sfide globali.

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Un incontro intenso quello tutto dedicato al cibo che si è svolto al museo del tessuto in apertura di festival “Il buono il giusto e l’alternativo”.  Un tema fondamentale per COSPE come ha ricordato Giorgio Menchini, presidente, che ha moderato il panel. “Attorno al cibo si concentrano gran parte delle sfide globali che ci  troviamo ad affrontare, e per questo, riveste per noi di COSPE un’ importanza prioritaria per COSPE”.

E’ intorno alla sua produzione e al suo consumo che si intrecciano infatti i temi dei cambiamenti climatici (la produzione del cibo è responsabile per il 30% delle emissioni di gas serra), dell’accesso alla terra, dei diritti umani, dei lavoratori e delle donne, fattore chiave della produzione e della trasformazione del cibo in tutto il mondo. In Italia in particolare il tema cibo e filiere è strettamente collegato a quello dello sfruttamento, del fenomeno del caporalato e anche delle migrazioni che, quando diventa vera e proprio tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù, entrano a far parte di un sistema mafioso e malavitoso. “Dallo studio dei diritti costituzionali – dice Guido De Togni, ricercato dell’Università La Sapienza di Roma e fondatore del progetto Funky Tomato – sono arrivato all’idea che dopo lo smantellamento dei diritti avvenuta negli ultimi anni ho deciso di dedicarmi a calarmi nella realtà”.  Funky Tomato è un’iniziativa nata nel 2014 e che coinvolge migliaia di agricoltori e un centinaio di stabilimenti di trasformazione sparsi fra Puglia, Basilicata e Campania, una decina di attivisti e circa 20 ragazzi impegnati in prima linea a difendere i diritti dei lavoratori. Con Funky Tomato è stato redatto un disciplinare per il lavoro, l’utilizzo prodotti nocivi, retribuzione eque e rispetto ambiente. Si concentra in particolare sulla filiera del pomodoro, che non è l’unica a rischio, ma una delle più critiche e sanguinose: “Funky Tomato – ha raccontato De Togni – è nato dopo la morte di Paola Clemente, morta a 40 anni di fatica nei campi.  Ci è voluta questa tragedia per farci guardare in faccia la questione del caporalato davvero”.

Da molti più anni di caporalato si occupa Marco Omizzolo, sociologo, ricercatore, giornalista e scrittore che sul tema ha scritto “Migranti e territori”.  Le sue inchieste sono iniziate con la comunità indiana nell’agro pontino: “si tratta persone con storie di sfruttamento, schiavitù vera e propria, e continuamente sotto minaccia se viste a parlare con giornalisti e sindacalisti. Persone costrette a chiamare i datori di lavoro, padroni. Ed è vero che da loro dipende tutta la loro vita: “La lotta allo sfruttamento a cui spesso diamo il volto dei migranti – dice Omizzolo – è invece un esercizio di democrazia che invece ci riguarda tutti”.  Dietro queste singole storie, ci sono storie di mafia e gravi collusioni con la politica. Alzare lo sguardo dai capannoni ci fa vedere il marcio che c’è a livello molto più ampio. C’è il mondo di chi di questo fenomeno ha fatto un affare. Ma Omizzolo non parla soltanto di lotta, ma anche di attività per “cambiare le cose”. E tante cose sono state fatte negli ultimi anni. Corsi di formazione, di diritto del lavoro, costruzione di reti di soggetti. “Al culmine di questo lavoro, nel 2016, c’è stata la grande manifestazione di braccianti, nell’agropontino – chiude Omizzolo –  Quasi una rivoluzione. Marco Omizzolo nel dicembre 2018 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica l’onorificenza al Merito della Repubblica Italiana, proprio per la sua battaglia al caporalato.

Di giustizia e di diritto alla terra ha parlato anche Fareed Taamallah che in Palestina, un contesto di violazioni di diritti,  ha fondato Sharaka,  iniziativa a sostegno dell’agricoltura locale, stagionale e biologica, volta alla protezione delle sementi palestinesi e del patrimonio agricolo verso la sovranità alimentare. “I nostri sono territori a cui è stata tolta gran parte dell’acqua, che sono stati disboscati e, nel tempo, si sono inariditi. Le persone abbandonano le campagne per fare altri lavori. Spesso alle dipendenze degli israeliani. Noi promuoviamo un ritorno alla terra, e diamo ai contadini una ragione per rimanere: fare i contadini non è solo produrre cibo ma anche proteggere la terra e i nostri diritti. Meglio una candela accesa –  chiude Taamallah – che maledire le tenebre”. Una lotta quella di Fareed e la sua cooperativa che coinvolge tanti giovani e che è una risposta pacifica alla violenza quotidiana che subiscono.

Una risposta quotidiana è al sistema di produzione e consumo è quella che esorta anche Francesco Paniè “Siamo tutti coinvolti nella costruzione di un sistema più giusto ed equo di produzione del cibo – dice Paniè – Una delle cause dello sfruttamento è anche la vendita  “sottocosto” nelle grandi distribuzioni. Se una merce costa poco, qualcuno quel prezzo lo paga e di solito è la manodoepra a pagarlo”. Una filiera giusta e pulita, e soprattutto saperla riconoscere attraverso l’informazione. E’ fondamentale”.  Cosa possono fare istituzioni? Ci si è chiesto alla fine del panel?  Rispondono i due dirigenti della Regione Toscana: Gennaro Giliberti e Valter Nunziatini che hanno presentato il progetto PROMETEA, un modo per dare risposte per tornare alla terra e a filiere pulite e sane. Il cibo non è una merce e sosteniamo politiche vadano in questo senso”.

Ed è quello che COSPE prova a fare in tutto il mondo “Ovunque – chiude Giorgio Menchini – sosteniamo attori locali che promuovono difesa agro biodiversità forme sostenibili di produzione. Li mettiamo in rete e li sosteniamo nella difesa di un sistema sostenibile”.

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